Sono andata a vedere questo film perché molti miei pazienti me lo citavano. È stato interessante vedere come a seconda dei propri vissuti, ogni persona dava al film un significato diverso e veniva colpito da un’emozione specifica.
Con i miei pazienti ho utilizzato il film come strumento per far emergere contenuti emotivi non facilmente esplorabili, attraverso la distanza di sicurezza che l’utilizzo del linguaggio comune del film ci ha spontaneamente offerto.
Per caso mi sono imbattuta in un interessante articolo di un mio collega che riguarda il film in oggetto.
Immaginate, per un momento, di essere in un parco di una piccola cittadina, in autunno, seduti in una panchina mentre osservate con piacere ed interesse l’interazione tra una mamma e un bambino piccolo, di 10 mesi circa. Stanno giocando distesi su di un prato pieno di foglie appena cadute giù da qualche albero. Il bambino ha in mano un pupazzetto di stoffa e lo avvicina al viso della madre, il pupazzetto gli sfugge di mano e la mamma decide di non raccoglierlo, allora il bambino si allunga per prenderlo, ma non ci arriva subito, si forza allungando al massimo le braccia e le dita. Non riuscendoci si spinge in avanti con tutto il corpo per coprire la breve distanza che lo separa dal giocattolo. In quel momento la madre dice “uuuuh! uuuuh!” in un crescendo dello sforzo vocale e respiratorio che va di pari passo con l’accelerazione dello sforzo fisico del bambino. Questa interazione è quella che lo psicoanalista svizzero Daniel Stern ha definito “sintonizzazione degli affetti”. La madre non tenta di imitare lo sforzo del bambino che prova a prendere il pupazzo ma si sintonizza con il suo sforzo e dà voce a quel vissuto. Questo tipo di interazione è esattamente quello che avviene in un lavoro psicoterapeutico. Prima ancora di capire il problema della persona, di interpretare, di aiutare, sostenere e via dicendo, il terapeuta prova a sintonizzarsi con i vissuti interni della persona che chiede aiuto, con le sue emozioni, dandogli voce, letteralmente tirandole fuori.
Spesso noi proviamo delle emozioni e non riusciamo a riconoscerle pienamente o perché particolarmente intense o, al contrario, perché troppo deboli, in questi casi abbiamo bisogno di una persona che ci aiuti a comprendere, insieme, cosa stiamo vivendo.
Inside out racconta il mondo interno di una bambina di 11 anni che si trova nella difficile situazione di dover spostarsi con la propria famiglia in un’altra città, molto distante dai luoghi in cui è nata e cresciuta. Nel cartone viene descritta, in modo molto efficace e veritiero, come vive Riley dal punto di vista emotivo questa situazione di disagio. Molti hanno sostenuto, a ragione, che questo cartone è l’elogio della tristezza, nel senso che è proprio grazie alla tristezza che alla fine Riley riesce ad affrontare e superare il momento di crisi.
A mio avviso però il cartone è anche l’elogio della relazione, Riley riesce ad affrontare la crisi perché si ricorda che in un momento di grande difficoltà dell’infanzia, relativo ad un fallimento sportivo, i suoi genitori erano sintonizzati affettivamente, attraverso l’abbraccio e la consolazione, con lei. E questo le apre anche il ricordo successivo dell’abbraccio dei suoi amici.
Nella terapia, avviene qualcosa di molto simile. Il terapeuta si sintonizza con il disagio della persona, con le sue emozioni, assorbendole e restituendole attenuate, più morbide, delicate. La mente del terapeuta è aperta verso l’altro non solo attraverso le parole – e in generale attraverso gli aspetti cognitivi della loro comunicazione – ma, prima e soprattutto, verso ciò che passa a livello emotivo, in un dialogo silente che assomiglia molto alla relazione della mamma con il bambino che ho descritto all’inizio. Questo processo lentamente si sposta poi su di un piano più razionale, cognitivo, fino a diventare consapevolezza e quindi conoscenza di sé, dei propri disagi attuali e della propria storia personale. Ogni incontro terapeutico, in genere, dovrebbe muoversi attraverso questa sequenza, prima entrare in contatto con i vissuti emotivi e poi spostarsi, lentamente, verso il livello cognitivo, di maggiore consapevolezza.
La psicologia che sta dietro il cartone Inside Out ci dice non solo che le emozioni sono importanti e non, come si credeva un tempo, da tenere sotto controllo, pericolosi agenti di disturbo per il pensiero razionale, ma che noi siamo esseri relazionali, entriamo in contatto con l’altro fin dal concepimento, ci connettiamo, per utilizzare un termine moderno, e grazie a queste relazioni possiamo permetterci di esplorare il nostro mondo interno, le nostre fantasie, la nostra storia e immaginare e progettare il nostro futuro.